Libri sullo smarketing

I dinosauri si sono estinti, le formiche no.

Category: Estratti dal libro cartaceo

Da cosa è nato il libro

Scrivo i materiali per questi libri tra luglio 2010 e marzo 2013 dopo quasi cento tra corsio e laboratori di smarketing in tutta Italia.
Tranne casi particolari si è trattato di weekend intensivi in forma di maratona.
Coloro che si sono iscritti, pur non essendo professionisti della comunicazione, devono far fronte adeguatamente a sfide quotidiane da cui dipende il successo/insuccesso di azioni, eventi o iniziative:

– redazione di testi per la carta e/o per i blog,

– impaginazione e duplicazione di cartaceo in self print (cioè duplicato in casa con una comune stampante laser) o stampa low budget, affrontando questioni di tipo testuale, estetico, grafico, economico, strategico e di gerarchia logica

– esercitare scelte creative o redazionali, in comune con altri

– scegliere nomi ed eventualmente marchi di iniziative, eventi o piccoli prodotti, distaccandosi dalle retoriche e dagli stili che il marketing tradizionale utilizza per i prodotti industriali

– contribuire a blog o social network anche senza essere particolarmente “smanettoni” e, a volte, senza essere molto propensi (per indole, dieta mediatica o età) a questi nuovi mezzi

– ideare iniziative eventi o altri accadimenti (culturali, sociali, artictici, politici, sportivi…)

Molto spesso queste esigenze implicano un’altra abilità da acquisire: quella di facilitatore della comunicazione interna. Ci sono molti casi in cui all’interno di un’organizzazione medio-piccola (un ente pubblico, una cooperativa di almeno qualche decina di soci-lavoratori, un’azienda familiare…) c’è qualcuno che si occupa della comunicazione verso l’esterno che lamenta difficoltà dietro le sue spalle, nella comunicazione con l’interno della propria realtà. Spesso il corso raccoglie le esigenze di queste persone, abbandonate a sé stesse, con scarso feed-back dai propri capi, non di rado vincolate a fare controvoglia comunicazioni ripetitive, mediocri e conformiste.

Senza la pretesa di fornire in due giorni delle competenze specialistiche, il corso permette di riconoscere quegli errori più diffusi che troppo spesso impediscono una buona comunicazione.

I corsi funzionano quando aiutano ciascuno a comprendere le più semplici ma essenziali questioni di grammatica e sintassi: di ritmo comunicativo, di gestione dell’ingombro, di chiarezza di una spiegazione, di capacità di essere interessanti.

Il programma tipo si può trovare sul sito corsi.smarketing.it (senza il www).

3 La rete smarketing°

In fondo al libro è riportato questo capitolo sulla nostra rete.

La rete smarketing

Alla fine di questo libro avete diritto di sapere come passiamo dalle idee alla pratica.
Non vogliamo essere un marchio che attesti l’“eticità” di una comunicazione. Non siamo un brand, semplicemente usiamo il nostro nome per firmare quello che facciamo (questo libro, corsi , campagne…).

Anche se l’idea di base e il nome nascono negli anni 90, e con essi vari concetti teorici e molti spunti operativi, è solo dal 2009 che c’è una rete di professionisti che li sperimenta sistematicamente su scala sufficientemente ampia. Anche molti mezzi che oggi adottiamo, a partire dal web 2.0, sono recenti. Quattro anni sono il minimo per il riscontro effettivo dell’efficacia in lavori che chiedono qualche anno per compiersi. Chiedono tempo anche le sperimentazioni empiriche e le decisioni partecipative (non votiamo a maggioranza, sulle scelte importanti dobbiamo essere tutti d’accordo).

Quello che segue è una prima sintesi, ma per una questione di onestà intellettuale tenete presente che siamo sempre in un processo evolutivo; su www.smarketing.it potrete leggere come continuiamo: alle parole devono seguire i fatti e anche viceversa, perché come ogni artigiano “pensiamo con le mani”, quindi il fare concreto è parte importante dell’elaborazione di una teoria.
Attualmente siamo in sette; dopo aver studiato varie ipotesi (cooperativa, associazione, studio associato) abbiamo scelto la soluzione più pratica e anche la più semplice: ognuno ha la sua partita IVA e lavoriamo in rete.
Ci diamo alcuni principi ideali e delle regole concrete, per metterli in pratica.

I principi ideali

Lealtà col cliente: significa anche
• incoraggiarlo a far da sé la parte basica della comunicazione, se possibile
• pianificare la comunicazione per fargli spendere il meno possibile
• rispondere personalmente dei risultati effettivi
• tentare di collaborare, senza competere/confliggere, con eventuali suoi tecnici locali
• non subappaltare mai il nostro lavoro a terzi

Lealtà tra di noi: rapporti paritari e non gerarchici (neanche per età, fama o esperienza)
Si accettano solo clienti che rispettano i diritti dei lavoratori, l’ambiente, che dichiarano un codice di comportamento (e lo rispettano).
Ciascuno di noi rifiuta di ricevere o dare lavoro subordinato precario, inclusi gli stage.
Siamo attenti il più possibile a ciò che accade intorno, tecnicamente e culturalmente.
Crediamo nella condivisione del sapere e la pratichiamo
Cerchiamo di dare importanza alla comunicazione informativa sulle qualità del prodotto rendendo più competente chi compra.
Cerchiamo di accorciare la filiera tra produttore e acquirente.
Condanniamo il green washing, quindi rifiutiamo qualsiasi cliente che abbia una pratica generale aziendale criticabile sul piano ambientale, anche quando ci volesse coinvolgere in sottosettori o branche con appeal ecologistici. La stessa cosa per quanto riguarda i temi sociali, culturali o terzomondisti.

Lo smarketing è un processo ideale, non un’ideologia, quindi:
• Per il professionista lo smarketing è un processo di liberazione verso il momento in cui potrà lavorare esclusivamente con clienti non profit e in le forme di economia “altra”.
• Nel percorso, ciascuno di noi resta libero di decidere se accettare o no clienti convenzionali (all’esterno dal proprio rapporto con la rete), ad esempio in caso di necessità economiche o di particolari occasioni di crescita professionale. Da questo principio di tolleranza sono escluse aziende o organizzazioni che abbiano comportamenti criminali o gravemente antietici.
• Per il cliente lo smarketing è un processo di liberazione dall’esigenza di fare pubblicità commerciale tradizionale o di sottostare ai vincoli della grande distribuzione. Il nostro compito è dargli suggerimenti e strumenti per farlo; dopodiché lui è libero di scegliere ciò che sa, può, vuole fare: in ogni caso dovrà adottare semplici strumenti per misurare l’effettiva efficacia dei risultati e valutarne gli esiti insieme a noi.

Non può entrare nella rete un professionista che
• assume sottoposti con contratti non continuativi o accetta stagisti.
• accetta di essere pagato “in nero” anche parzialmente.
• non dedica almeno il 20% del tempo annuo a formazione, aggiornamento o esperienza con nuovi strumenti.
• rifiuta una concezione condivisa della proprietà intellettuale.

Il piano pratico

Prima di cominciare qualsiasi lavoro verifichiamo se e come siamo necessari, erogando al cliente una consulenza a prezzo politico di poche ore; vediamo insieme sito, cartaceo, IC, strategie; la nostra valutazione e i nostri consigli gli permettono di decidere cosa fare avendo più chiari i punti di forza/debolezza, i costi possibili di diverse soluzioni, cosa può fare da sé, cosa con noi, cosa con suoi eventuali tecnici locali o abituali.
Dopo questa consulenza il cliente può decidere di attribuirci un incarico professionale. In questo caso si redige un protocollo di reciproca fiducia tra professionisti e cliente (una dichiarazione di intenti e metodi già “collaudata su strada” coi clienti precedenti) che tutti sottoscrivono.
I preventivi sono trasparenti, in essi è esplicitata la mansione, il compenso e la tempistica di ciascun professionista. La cifra del preventivo corrisponde a quella finale, senza aumenti in corso d’opera, se non per mutate richieste del cliente o per motivi oggettivi e condivisi.
L’incarico di solito definisce quale parte del lavoro dev’essere erogata direttamente dal professionista e quale sarà oggetto di formazione o affiancamento perché la struttura del cliente possa gestirselo direttamente; anche la cura di questa graduale la transizione dal lavoro esternalizzato al lavoro interno spesso è parte dell’incarico.
Non si accetta la tradizionale percentuale da parte delle testate che pubblicano inserzioni a pagamento o dalle loro concessionarie: siccome ne suggeriamo alcune invece di altre, assumendoci un ruolo arbitrale di consulenti terzi, ciò produrrebbe un conflitto di interessi. Chiediamo alle testate che la provvigione sia convertita in uno sconto per il cliente.
Al cliente si suggeriscono solo i lavori che gli sono necessari, senza accettare, e tanto meno sollecitare, la commessa di lavori a nostro avviso inutili, anche qualora fosse per noi conveniente.
Si persegue l’autonomia del cliente e la si facilita, nei limiti della sua disponibilità personale, tecnica e organizzativa.
Si aiuta il cliente a ridurre le esternalità negative (es. spreco di carta).
Si incoraggia il cliente che non lo fa a sviluppare protocolli di CSR.
Ci piace il baratto e lo scambio merce, purché rendicontati.
Il cliente non ha sempre ragione: quando le sue richieste ci paiono tecnicamente poco efficaci o controproducenti, glie lo diciamo e lui è tenuto a confrontarsi: altrimenti tradiremmo la sua fiducia.
A proposito della comunicazione elettorale, o comunque politica, la rete non è neutrale: si schiera con nettezza verso la tutela del lavoro, dell’ambiente, della cultura, dei beni comuni e dei diritti civili; non si schiera però con questa o quella specifica parte perché persegue in ciascuna di esse un aumento della democrazia interna, della capacità di ascolto, della trasparenza e dell’interlocuzione con la propria base. Per questo non accetta specifiche campagne per un partito o un candidato, ma forma gruppi di attivisti e volontari verso una comunicazione efficace, nei diversi territori per qualsiasi partito o movimento nelle aree politiche interessate.
Stages: quasi sempre sono uno sfruttamento spregiudicato e anche una forma di diseducazione (viene inculcato un modo di lavorare parcellizzato, gerarchizzato, affrettato e alienante). Per il giovane professionista che vuole cominciare ci possono essere altri strumenti, come l’affiancamento congiunto a un suo primo cliente.
Account: sono quelle persone che in una grande agenzia mediano tra creativi e cliente, spesso spingendolo a spendere sempre di più. Noi non ne abbiamo. Questo elimina molti costi e ambiguità, ma anche sottrae un utile mediatore culturale tra cliente e noi. Ne consegue che senza account tutti dobbiamo essere più capaci di ascolto, capaci di mettersi nella mentalità dell’altro.

Come vogliamo lavorare

Vogliamo lavorare con soddisfazione umana, relazionale e creativa, seguendo le nostre aspirazioni personali e sociali, nel rispetto dell’ambiente e delle persone.
Pretendiamo di guadagnare lealmente il giusto, senza far male al mondo e aiutando produttori ed acquirenti a risparmiare soldi e risorse e a tessere rapporti più solidali e continuativi.
Vogliamo che il cliente paghi meno possibile; lo aiutiamo a risparmiare su molte spese di marketing abitualmente considerate indispensabili: usiamo poca carta, poche inserzioni, molti strumenti economici.
Per questo scopo la prima strada da seguire è rivolgerci a chi condivide lo stesso spirito e le stesse motivazioni. Insieme a loro vogliamo migliorare il senso comune e convincere il resto del mondo produttivo ad orientarsi verso valori etici ed ecologici.

2 A cosa serve questo libro

A che cosa serve

1. Spiegare che non basta essere buoni

La mente umana segue percorsi brevi: se il tuo volantino è pasticciato, tu sei pasticcione, A = A, è l’identità della logica formale.

Chiunque di noi vada a fiere come “Fa’ la Cosa Giusta!”o “Terra Futura” incontra centinaia di realtà che producono cibi squisiti, abiti stupendi, servizi intelligenti, tutto “buono” in senso ecologico, sociale, estetico.
Spesso però la comunicazione è un disastro. Anche per questo molti faticano a quadrare i bilanci.

È inutile essere “buono” se non lo sa nessuno.

Anche se hai un budget limitato per la comunicazione, non ti aiuterà essere schivo, comunicare in modo sbrigativo o trascurare il sito.
A maggior ragione se il tuo lavoro è innovativo o atipico e il tuo potenziale cliente è propenso a fare l’equivalenza tra la qualità della tua comunicazione e la qualità del tuo prodotto o servizio.
Un conto è pensare all’effimero fasullo della pubblicità tradizionale, un altro è che, se vuoi bene al tuo lavoro, vale la pena di raccontarlo con amore, gusto e pazienza.

2. Distinguere smarketing e marketing

Comunicare non significa affatto fare marketing.
Abbiamo lasciato che diventassero sinonimi, ma è come chiamare “addestramento” la scuola di Platone (non c’è maieutica senza scambio di disponibilità, fiducia e interazione). O definire “rancio” l’invito a cena d’una persona innamorata (se lei cederà al corteggiamento davanti alle linguine ai carciofi non dipende da un calcolo delle calorie ma dal calore emotivo della relazione, che attraverso la qualità del cibo, il vino e l’atmosfera il corteggiatore cerca di simbolizzare, non di surrogare).
Definire marketing la comunicazione dei “pesci piccoli” è un equivoco. In libreria, per esempio, sullo scaffale marketing, in mezzo a tanta fuffa troverete anche testi utili e intelligenti sul marketing sostenibile o sul web marketing minimalista (w002). Usano la parola marketing anche ove vengono suggerite garbate ed efficaci tecniche comunicative, condivisibili e adatte alle formiche.
Alcune tecniche sono simili a quelle suggerite da questo libro, ma la differenza è nello scopo: il marketing vuole vendere qualsiasi cosa più è possibile, lo smarketing vuole vendere la giusta misura di prodotti e servizi che rispettano l’uomo, l’ambiente e la società.

3. Passare dal vendere “più che si può” al vendere “il giusto a lungo”

Qui non troverete trucchetti per vendere tanto. Trovate se mai i mezzi per vendere il giusto, a lungo:
• fidelizzare in modo reciproco (voi e il cliente);
• mostrare la qualità in modo trasparente (diffondendo competenza sul vostro prodotto);
• accorciare la filiera (con internet ma non solo);
• abbattere in modo drastico il numero di inserzioni e spot (cercare pochi contatti ma buoni).
Le tecniche per vendere tanto sono uguali o diverse da quelle per vendere il giusto? Dipende, per certi aspetti sono simili e per altri sono diametralmente opposte: e tutto il libro ha lo scopo di dettagliare questo “dipende”.
Il marketing pretende di essere una scienza esatta, lo smarketing è solo un processo empirico che richiede di navigare a vista, senza una mappa univoca e definitiva (dubito che tale mappa possa esistere); sono “solo” buone pratiche, ma essendo state collaudate sul campo posso garantirvi che di solito funzionano abbastanza bene se si vuol vendere a lungo il giusto; abbastanza male per chi vuole fare tanto fatturato a qualsiasi costo e in fretta.

4. Identificare gli errori principali

Pochi errori molto frequenti costano ai “pesci piccoli” un sacco di tempo, denaro, complicazioni, demotivazione e insuccessi.
Sono errori facili da riconoscere, quando li commettono gli altri.
I mille piccoli bivi della comunicazione – una parola o l’altra, quale colore, quanto ingombro, quali bottoni nella home page? – sono un labirinto. Chiunque guardi dall’alto il labirinto altrui vede facilmente dove sbaglia strada; ma quando dentro ci sei tu è tutt’altra faccenda. All’inizio imbocchi i bivi e fai le scelte senza avere cognizione di causa, affidandoti al caso o ai luoghi comuni; poi scopri che cosa avresti dovuto tenere a mente per non perderti e da quali errori avresti potuto imparare qualcosa, ma ormai sei già irrecuperabilmente smarrito. Senza filo d’Arianna, credevi di essere Teseo ma diventi il Minotauro.
I piccoli minotauri smarriti sono troppi: volantini affollati, slogan criptici, grafiche cialtrone, siti incomprensibili… Ottime persone perse nel loro labirinto, al punto di confondere la loro stessa identità. Se passiamo da un’epoca di “delega allo specialista” a un’era nuova, a bassa delega, e in cui diventiamo tutti dilettanti competenti, risolvere questa limitazione è fondamentale.

5. Aiutare la democrazia e l’economia minuta

Se impariamo a fare una comunicazione “abbastanza buona” decuplichiamo la forza dei nostri volantini, siti, comunicati. L’effetto sarebbe che nel nostro Paese le brave persone che vogliono lavorare in modo pulito, con poca fatica moltiplicherebbero il proprio budget e il tempo di lavoro. Non è politica questa?

Allo stesso tempo si potrebbe abbattere drasticamente l’impatto ambientale della comunicazione.
Inoltre una comunicazione differente aiuterebbe la gran parte delle persone a liberarsi dal “senso comune artificiale” indotto dalla televisione e dal marketing. Anche questa è sicuramente politica.

Non so se questo sia un obiettivo troppo alto per questo libro. Forse è solo fiducia nelle idee semplici e soprattutto nelle cose che persone come voi hanno da dire. Propongo di partire dalla convinzione che, finora, troppo spesso abbiamo comunicato in modo dispersivo, autoreferenziale, provinciale, senza pensare insieme e dal basso: se non lo facciamo vincono i grandi persausori e il senso comune diventa sempre più uniforme.

6. Facilitare la trasparenza come metodo

Il nostro metodo sostituisce il “persuadere” del marketing con la capacità di “far parlare di noi”.
In pochi anni lo scenario è cambiato in modo radicale. Questo dovrebbe aiutarci.

Tutti i protocolli di responsabilità sociale dicono infatti che la trasparenza è un valore. Tutte le esperienze di comunicazione sui social media dimostrano che è meglio essere sinceri. Una comunicazione è trasparente se rende conto dei risultati reali conseguiti nella direzione degli scopi dichiarati.
Eppure molte organizzazioni storiche – associazioni, sindacati, Ong e altre – sono ancora “opache”. Le loro gerarchie sono spesso impegnate in giochi di potere e di carriera, clientele, nepotismo. Per quanto nobile sia il loro passato e numerosi i loro iscritti, queste sono diventate organizzazioni “a valorialità parassitata”.

I loro valori cioè sono sfruttati per fini impropri. Spesso saranno restie a mettere on line i bilanci economici o sociali ed eviteranno di rendere conto sui social media dei propri reali risultati. Al massimo proveranno a rendersi simpatici al “bar del marketing” con una vernice green o modernista e qualche pagina patinata, ma senza comunicare in modo reciproco con i propri stakeholder (dipendenti, clienti, fornitori, indotto, abitanti del territorio…) e senza mettersi in discussione.

Morale della favola? Non fate come i loro “capi” che non vogliono neppure sentire parlare di smarketing: alzano il telefono e chiamano un’agenzia, spendendo un sacco di soldi. Ma finiscono per raccontare – e male – solo la “favola della morale”.
E in un’epoca in cui la comunicazione non è più controllabile ma digitale e liquida, le bugie hanno gambe molto più corte: è più facile reperire informazioni e prendere la parola. La vecchia nomenclatura può solo rimandare il proprio crollo: peccato che più lo si ritarda più sarà doloroso l’esito per tutta l’organizzazione. Tenetene conto.

7. Liberarsi dal belining

È il participio presente del sostantivo genovese “belin”.
Durante uno dei corsi di smarketing per la Comunità di San Benedetto al Porto mi raccontarono questo episodio. Don Andrea Gallo, dopo aver ascoltato il briefing di un marketing plan (immagino zeppo di parole come vision, goals, numbering, targetting, branding…), si alza in piedi e chiede “ma alla fine cosa resta di tutto questo belining?” Anche a noi ogni tanto scappa qualche parola in gergo markettaro: è normale, è un linguaggio tecnico come tanti altri e molte di queste parole un significato effettivo ce l’hanno; ma abbiamo deciso di adottare belining per indicare il malcostume, ancora in voga, di nascondersi dietro queste espressioni per non dire nulla ed evocare in modo fumoso la presunta superiorità del tecnico.

1. Per chi è il libro Smarketing

Queste parole – o piuttosto simili – me le hanno dette centinaia di allievi dei miei corsi:
“Ho scoperto che comunicare bene non significa vendere fumo; prima credevo che fosse una cosa da furbi, per manipolare la gente”.

Se una tale ovvietà per così tanti di loro è stata una rivelazione, significa che l’equivoco è molto diffuso e radicato proprio dove si hanno molte cose da dire e pochi soldi per dirle.
Questo libro è per loro (per voi!): per i comunicatori di imprese e altre organizzazioni che nella loro “missione” perseguono valori sociali, culturali, ambientali e vogliono costruire una nuova economia di relazione, sobria e
solidale. Ecco un elenco non esaustivo:

Sul territorio

• agricoltori biologici, agriturismo
• mercati e organizzazioni di vendita diretta, gruppi d’acquisto solidali, cooperative di consumo
• piccola distribuzione organizzata, anche via web
• ristoranti a km 0, con l’orto, biologici
• operatori del turismo consapevole ed ecologico

Nelle istituzioni

• enti pubblici, piccoli e medi Comuni, singoli assessorati di quelli maggiori
• biblioteche, ludoteche, centri anziani
• associazioni e Onlus impegnate in prevenzione, solidarietà, integrazione, recupero sociale
• teatri ed enti teatrali locali
• parchi e oasi naturali, guide ambientali
• eventi culturali, fiere, festival

Nell’economia sociale e welfare atipico

• cooperative sociali piccole e medie di tipo A e B
• imprese non profit in altra forma societaria
• cohousing, cooperative di abitanti, autocostruzione
• circoli, centri sociali, luoghi di socialità, co-working
• locali privati con valori di tipicità, creatività, identità
• terapisti delle medicine alternative
• luoghi di meditazione, yoga, terapie corporee, shatzu
• erboristeria: produzione, distribuzione e vendita

Nell’artigianato manuale e creativo

• artigiani che perpetuano vecchie produzioni
• sartoria, critical fashion, artigianato calzaturiero,
• artigianato creativo del riuso
• artigianato digitale
• uso creativo di tecnologie digitali per la manipolazione dei materiali (taglio laser, stampanti 3D…)
• formatori in discipline diverse: ballo, cucito, cucina, autoproduzione, benessere…

Nelle piccole imprese culturali

• singoli artisti
• gruppi culturali, artistici o di divulgazione scientifica
• piccoli editori e microeditori cartacei e digitali
• compagnie e spazi teatrali, animatori drammaturgici
• orchestre, band, compositori
• scuole popolari di musica, cinema, teatro
• gestori di cinema d’essai, cineforum e simili
• videomaker
• tecnologie audio e video di produzione e post-produzione
• service per lo spettacolo

Nelle vecchie e nuove tecnologie energetiche e di mobilità

• bio-architetti, progettisti di efficienza energetica
• E.S.C.O., installatori di energia rinnovabile
• mobility management
• servizi di carsharing, bikesharing, pony express in bicicletta, ciclofficine

Nella democrazia di base

• gruppi di attivisti politici
• associazioni
• movimenti

Questo libro serve quindi in definitiva alle cosiddette “organizzazioni con motivazioni valoriali”.

Indice

L’indice del libro cartaceo

Premesse. Questo libro.

Capitolo zero

A che cosa serve
Per presentare questo libro
Da che cosa nasce
Per chi è
A che cosa serve

Capitolo 1. I partigiani della comunicazione

Come e perché disertare dal marketing
Il pubblicitario disertore
La narrazione delle mele
La crescita giusta
Elenco di scopi ovvi (e da ribadire)
Lo “starget” e il 5%
La banalità del tale e quale
Vivere senza marketing
Le armi dei partigiani della comunicazione
I territori da riconquistare
I volantini e la televisione
Ma che cos’è davvero il marketing?
Pubblicità, lingua matrigna
Il marketing ci fa sentire brutti
Un’impresa con il senso del limite

Capitolo 2. I dieci errori più frequenti

Come rendere disastrosa la vostra comunicazione
1. Come sbagliare nome
2. Come sbagliare dominio
3. Come sbagliare logo
4. Come sbagliare identità
5. Come rovinarsi la reputazione
6. Come “pessimizzare” i canali
7. Come sbagliare a scrivere
8. Come trovare scuse per non farsi aiutare
9. Come riempire tutto lo spazio
10. Come sbagliare materia

Capitolo 3. Istruzioni di base per dilettanti competenti

Come guardare le cose con occhi nuovi
Siate dei geni (dentro lo siete già)
Abilitatevi (riconoscetevi l’abilità)
Fate come l’albero (non come i mammiferi)
Siate estremi (minimi e massimi tecnologici)
Usate il copyleft
Copiate bene (lasciate che le idee vengano a voi)
Siate imperfetti (ma siatelo almeno in due)
Siate resilienti (né morbidi né duri)
Non lasciatevi disabilitare dai tecnici
Siate leali (è un affare)

Capitolo 4. Piccola cassetta degli attrezzi

Come funziona la comunicazione che funziona
Premessa
I fondamentali: siate chiari e leggibili
I fondamentali: parlate a pochi (ma buoni)
Altri fondamentali per una comunicazione che funziona
Siate empatici
Fate immaginare un mondo
Siate reciproci
Evitate il rumore
Generate le vostre parole cornice
Guardate in faccia i pregiudizi
Siate “speciali”
Raccontate una storia
Parlate in lingua orale
Diventate un mito, ma minuscolo
Pensate al web come al teletrasporto
Cambiate il mondo (twitter non lo fa per voi)
La comunicazione eccellente non esiste

Capitolo 5. Soluzioni pratiche per piccoli budget

Come usare al meglio gli strumenti a disposizione
Logo e brand
L’immagine coordinata
Come offrire il web ai teletrasportati
Sommate l’effetto di diversi media
Usate bene un evento
Come usare abbastanza bene l’e-commerce
Di quale “tecnico” fidarsi
Come usare le inserzioni (poche e partigiane)
Fare un volantino (ma sarà efficace?)
Conclusioni: la comunicazione fai da te

La rete smarketing°