Parole estranee all’uomo, come a un gatto la qualità dei suoi peli, sono comodamente installate nella nostra memoria, parole che ci danno la caccia, tiranne.
Ma c’è anche la parola che ci salva. È sempre una di quelle per cui ci si suicida.
Edmond Jabés
Siamo abituati a credere che la fabbrica sia una cosa concreta, materiale, “strutturale”e che invece il gusto con cui i clienti scelgono appartenga alla sfera del pensiero, delle“sovrastrutture”.
No, da tempo il marketing fa il market, non viceversa; marketing è il participio presente di to market. Ricordatevene tutte le volte che trovate frasi come “mettersi sul mercato”, “la legge del mercato”: a parte le apparenze, il marketing è la struttura (definisce i rapporti di forza e i meccanismi), il mercato è la sovrastruttura, l’ideologia. Resta ideologia anche quando si materializza in milioni di container cinesi, in file di tir puzzolenti, in faraonici centri commerciali che dissestano il paesaggio.
É una forma di colonialismo
Forse diciott’anni di berlusconismo sculettante ci hanno fatto idealizzare la situazione oltralpe, ma l’ordine mondiale è nelle mani dei brand, che spesso contano più degli stati; il mondo è sempre più diviso in produttori poveri che lavorano a due dollari al giorno e consumatori occidentali semi-disoccupati la cui missione nella vita è comprare robaccia fabbricata da altri.
Ha lo scopo ignobile di vendere troppo
Siamo vicini al picco del petrolio e di molte altre materie prime. Il cambio climatico promette cataclismi immani. Vendere roba inutile è come offrire un litro di rosso a un anziano con la cirrosi epatica: se ha una dipendenza, certo che gli piace.
Per la nostra dipendenza, hanno sostituito il medico con l’oste: ripete la sua ricetta medica dalla TV decine di volte ogni sera. Tutta la catena del marketing ( non solo l’advertising, anche branding, naming, pricing, packaging, placing, perfino il costumer care,… ) ha per scopo convincervi a spendere i vostri soldi per comprare roba quasi sempre inutile, per la quale si spreca energia e materia e che inquinerà anche dopo, nello smaltimento.
Con lo smarketing vogliamo riprenderci quel surplus economico oggi sprecato in materia ed energia e indirizzarlo verso il benessere reale e la convivialità.
Allunga la filiera e sovraccarica il costo delle merci
Per noi il mestiere del pubblicitario può essere morale solo se accorcia la filiera, solo se attraverso la comunicazione riduce i costi economici, ecologici e umani nel processo tra lavoro e consumo.
Separa essere ed apparire
Il primo mestiere del marketer è donare una personalità a oggetti insignificanti e anonimi. A cibi industriali, vestiti di pessima stoffa, suppellettili tutte simili vengono dati un nome, un colore, un carattere… quella cosa chiamata brand. Nel mercato di massa avere un buon brand è fondamentale; che sia buono il prodotto, invece, è poco influente.
Voi, “piccoli e buoni” che leggete questo manuale, avete l’esigenza opposta, avete già una personalità singolare nonostante un mondo che cerca di omologarvi; dovete narrarla, renderla chiara e trasparente. Non è una strada simile o parallela al marketing, è esattamente la stessa strada percorsa nella direzione opposta, con gli scopi opposti.
Ci condiziona ad essere insaziabili
Una persona soddisfatta compra il minimo indispensabile. State una settimana in natura lontano dalla TV: scoprirete che non vi serve quasi niente, le cose importanti della vita sono gratis.
La nostra capacità di essere felici è il vero problema del marketer, quindi si spendono miliardi di dollari per impedirla. L’advertising ci programma per guardarci allo specchio e sentirci brutti, girare per strada e sentirci mal vestiti, sentirci affamati benché sazi, aver sempre più voglia di essere eccitati, desideranti, somigliare a qualcun altro; sentire sempre che ci manca qualcosa; come se la città, la casa, il corpo fossero un enorme carrello sempre troppo vuoto. Siamo ancora capace di uscire la sera e incontrare gli amici senza dover spendere qualcosa da qualche parte, senza dover consumare?
Rende l’azienda sorda
Se un soggetto (ente, azienda, associazione) appalta al marketer la progettazione dei suoi output, difficilmente avrà i canali aperti per ricevere input e scambiare comunicazione colla propria clientela.
Consegna i tuoi soldi a chi li usa per comprare i giornalisti
Per noi non è indifferente il mezzo su cui paghi un’inserzione. Specialmente essendo in Italia, dove i giornalisti possono far carriera comoda solo autocensurandosi o vendendosi ai potenti.
Anche per questo, ma non solo per questo, siamo convinti che chiunque canti fuori dal coro debba cercare altre voci fuori dal coro e cambiare musica: se devi scegliere una radio, un giornale, una rivista… scegli chi ti somiglia e, tra le altre cose, incontrerai il lettore, l’ascoltatore che cerca te.
La merce diventiamo noi
È un meccanismo linguistico, la pubblicità è una lingua che capiamo ma non parliamo.
Chi di voi insegna lo vede in classe, dalle materne all’università, spesso anche dal nido: la pubblicità è talmente una lingua che i giovani stessi si conformano a merce.
Il prossimo capitolo tratta esattamente di questo.
Lascia un commento