Spero innanzitutto d’aver dimostrato che esiste una leggerezza della pensosità, così come tutti sappiamo che esiste una leggerezza della frivolezza; anzi, la leggerezza pensosa può far apparire la frivolezza come pesante e opaca.

Calvino, Lezioni Americane, 1
(citato spesso ma mai citato abbastanza)

Se volete che il vostro lettore butti via il vostro volantino dopo averlo visto un nanosecondo, se volete che chi naviga la vostra home page decida di cambiare sito coll’indice della mano destra prima ancora che la maggior parte del suo cervello sappia cosa succede, basta appesantire la pagina di roba inutile.

È uno degli errori più diffusi, i bambini hanno paura del buio; i grandi hanno paura del vuoto.
Troppo spesso il cliente, davanti al nostro sforzo di fare per lui una comunicazione sobria, pulita e senza fronzoli, guarda scettico le nostre fatiche e dice che “sembra un po’ povero”, che ci vuole più colore, qualche foto, un qualcosa che riempia.
O dice che “è un po’ troppo pauperista”, e sta usando tatto: intende contestarci che, per dei pregiudizi ideologici che non condivide, rendiamo la sua pubblicità miserella, sgarrupatina, invece di dargli tutto lo sfarzo che merita.

Per ingombro grafico si intende quanta superficie della carta occupa ciascun elemento (testo, immagine ecc.).
Per aria si intende lo spazio bianco intorno a tali elementi.
In genere più l’ingombro è leggero e pieno di aria, più concetti e segni si stagliano isolati nel bianco della pagina, quindi sono evidenziati e leggibili.
Quando guardate una pagina o una videata, nei pochi decimi di secondo che vi fanno decidete se vi interessa o no, l’ingombro è determinante; possiamo scrivere la cosa più intelligente ma non la leggerà nessuno se l’ingombro è ingolfato, affollato.
Siamo già tutti ingolfati, saturi di input, nessuno ha voglia di altro casino in testa.

Testi più lunghi del necessario

Spesso avviene il paradosso: un testo breve si legge tutto, un testo lungo di solito non viene letto affatto, così si fa prima; lo dimostrano i tempi delle visite a un blog, anche del mio: le pagine brevi hanno tempi di lettura oltre al minuto, quelle lunghe poche decine di secondi. Ciò accade anche se dicono le stesse cose (ad esempio se quella breve è un estratto di quella lunga che per me, autore, è più argomentata ed esaustiva).
E’ giusto che sia così: se il pezzo è breve significa che ho saputo isolare meglio il tema, pensare ad una sintesi chiara, e a questo punto trattarlo con eleganza.
Vorrei scrivere sempre così ma non è facile: per essere brevi occorre un sacco di tempo. Non esiste più la lettura sequenziale (una parola per volta, una riga per volta…) Se no per leggere il giornale servirebbe una settimana.
Davanti una pagina lunga l’occhio campiona con la lettura trasversale, cioè sceglie, più o meno casualmente, alcune frasi o parole; il resto viene ignorato. E’ possibile scrivere apposta per essere compresi anche così, specialmente se chi legge non è in poltrona ma sta camminando con un volantino in mano o è davanti a uno monitor, scomodo per gli occhi e per il corpo.

Fondini

Per rendere il nostro volantino (o quel che è) ancora meno leggibile, mettiamoci un fondino dietro, una foto, una texture. Con un colpo solo allontaneremo il lettore per due motivi: uno, dando l’impressione di un caos indistinto; due, rendendo più faticoso per l’occhio distinguere nitidamente ogni singolo carattere.

Foto inutili

Una foto dice più di mille parole: se volete mostrare che non avete niente da dire, con una foto è facilissimo.
Le foto tirate giù da Internet per “arredare” la pagina, di solito sono quelle che usano tutti, sono dei cliché, degli stereotipi. Se volete dire che siete diversi, che vi distinguete dai prodotti di massa, con quelle foto vi smentite subito e somigliate a quelli che fan finta di essere come voi.
Per comunicare bene, invece, le foto non devono essere considerate un arredo, un ornamento; devono sempre dire qualcosa. E ce ne vuole una sola, non tante, o almeno una più grande e significativa delle altre, per la teoria della primadonna (vedi oltre).

Pacciughi iconografici

Potete arrivare a vette ancora più drastiche di disastro se riempite il vostro spazio di materiale iconografico eterogeneo: una foto, una clipart, un disegnino … tutto insieme. E mi raccomando: sette o otto font diverse nella stessa pagina, infatti meno siete coerenti, più manifesterete di essere disordinati e pasticciati; nessuno vorrà sprecare tempo per leggere quello che c’è scritto sul vostro volantino.

Ci sono anche i casinisti bravi; ma non siete voi.

C’è anche chi riesce a fare dell’ottima comunicazione col pieno e col casino, ma bisogna essere molto bravi e vale in contesti particolari: la scena undergrund, il low fi, varie narrazioni della rabbia metropolitana… E’ un altro modo per trovare il senso nel caos. E’ espressivo e agito, poco progettato perché il senso complessivo è già “incorporato” da passioni, conflitti e speranze; è conflittuale, giovane, impaziente, antagonista, non ha troppa pazienza da dedicare a convincere chi ha schemi mentali diversi. Gioioso o incazzato che sia, il suo pubblico è d’accordo: fonde miscela e condensa le mille tribù parallele del nostro meraviglioso casino umano. La maggior parte di chi legge questo libro, inclusi quelli che ascoltano indie rock, sono solo un pezzettino di quel casino: se cercate una comunicazione progettata per suscitare il cambiamento degli schemi mentali, vi serve piuttosto l’arte della pulizia: allontanare lo sfondo e proteggere dal rumore le cose che volete raccontare.
Ma attenzione, occorre avere qualcosa da dire: se comunicate pulito e chiaro ma esprimete solo cosine noiosine, pedantine, burocratiche, prevedibili, senza anima… avranno ragione i giovani impazienti a dire che siete “pulitini”, considerandolo un insulto.