Per logo il linguaggio popolare intende qualcosa che è un po’ logo, un po’ marchio e un po’ brand, un po’ la marca com’era una volta, un po’ stemma feudale.
Per molti è solo una una bandierina da mettere su fiere e cartelloni per dire “io son stato qui”: territorialità psicologica.

Inizio della storia tipica

Voi che state leggendo queste pagine, probabilmente siete nati senza santi in paradiso, con un capitale iniziale che consiste più o meno in un rosso in banca e tanto olio di gomito.
Siccome navighiamo fin da bambini nel mondo dei brand, la prima cosa che uno pensa è: “ qui ci vuole un logo”.
Ma di solito ci si pensa poco, quando ci si mette in proprio si hanno altre urgenze: “ho da pensare a cose vere, concrete, mica all’immagine!” Così comincia il divorzio tra essere ed apparire.
Con premura e distrazione, qualcuno si rivolge al figlio dell’amico che studia arte, qualcun altro al perenne ventenne che sa usare Photoshop e quindi dice “io sono un grafico”; qualcuno chiede il preventivo a un’ agenzia, e quando lo riceve impallidisce: “come, tutti questi soldi per un disegnetto?” e ripiega su una delle precedenti due ipotesi. Ne sorte uno pseudo-logo che di solito ha almeno uno di questi difetti
– pieno di roba, arzigogolato, come uno stemma medioevale
– con caratteri illeggibili da lontano, a volte anche da vicino
– con scritte che impastano se stampate in piccolo
– con colori che spariscono davanti a certi sfondi
– senza nessuna relazione con la personalità che vorrebbe simbolizzare
– esteticamente brutto, inelegante, sproporzionato.

Voi non siete la Nike

Non potete ragionare come la Nike: quel baffetto (lo Swoosh) senza anni di pubblicità milionaria alle spalle sarebbe simile a tanti tag dei graffitari sui muri.
Funziona per logica parassitaria. Sapete già che due scarpe da 100 euro ne costano 7 di mano d’opera, materia prima, energia e confezione, incluso il lavoro del personale commerciale in occidente. Gli altri 93 sono tutti di marketing e plusvalenze.
L’ho detto ad un giovane consumatore appassionato di quel marchio che mi ha guardato come per dire: è normale! le parole testuali sono state “ma secondo te un crocifisso sono due assicelle incrociate?”
Uno dei nostri clienti è un artigiano spagnolo che ne fa a mano poche migliaia di paia all’anno: scarpe biologiche, ecologiche, anallergiche, fatte in famiglia. Un suo modello è stato copiato da una marca famosa.
Lo cito perché è l’inverso speculare della Nike. Il rapporto di 7 a 93 all’incirca per lui è invertito. Se ragionasse come la Nike dovrebbe vendere le sue scarpe a prezzi stellari. Invece può competere a prezzo analogo con qualità eccellente e impatto vicino allo zero perché riduce la filiera. Gli abbiamo studiato un logo che fosse:
semplice, essenziale, memorabile e distinguibile come quello della Nike,
– tuttavia riconoscibile e capace di vivere senza nessun altro branding che il passaparola.

Come continua la storia

Riprendiamo la storia dell’azienda che, nel cominciare, aveva scelto un logo sbagliato. Passa qualche anno e si rende conto che quel logo dozzinale fa sembrare dozzinale anche il prodotto. Che fare?

1. Cambiare logo
Chi cambia logo? A volte è il faccendiere che ne ha combinata una grossa e per stare sul mercato deve rifarsi una faccia nuova e pulita. O la marca sputtanata dai social network per qualche colpa sociale o ambientale. Il vostro caso è esattamente l’opposto. Cambiare logo è cambiare faccia, chi ti conosceva non ti riconoscerà; quindi, almeno per i primi mesi, peggiorerai la tua rete di fiducia e di reputazione.

2. Trascinarsi dietro il logo disutile
quella che dovrebbe essere una forza diventa un ostacolo. Il vostro cliente ragiona, come abbiamo già visto, in modo elementare: A = A. Quindi se il tuo logo è approssimativo e dilettantesco, anche tu appari approssimativo e dilettantesco.

3. tentare una migrazione il più morbida possibile tra vecchio e nuovo.
É una soluzione graduale, la può fare soltanto un buon grafico professionista e a volte costa più di un logo nuovo; l’esito spesso è abbastanza buono ma non è facile garantirlo sempre. Capita spesso di lavorare parecchio e tuttavia avere il cliente insoddisfatto; brutta situazione, il grafico sgobba e il cliente ha sempre da ridire, alla fine ci rimettono entrambi in soldi, amicizia e nervi.

Rewind: come avrebbe dovuto cominciare la storia

  1. Meglio nessun logo che un logo sbagliato. Per cominciare sarebbe bastato un logotipo tipografico: il nome (deve essere un bel nome) scritto con una font scelta bene, con il consiglio di professionista.
    A quel punto, per esporlo in insegne fiere e cartelloni, la cosa più importante è che non ci sia rumore intorno (fondini, altre immagini, ornamenti…)
  2. Dopo qualche anno, una volta assestati, alla prima revisione dell’IC (vedi prossima pagina), si è maturi per aggiunge, se serve, anche un bel loghetto. Ma spesso non serve.