Esercizio: siete su una panchina. Guardate la gente che passa per strada: un giovane tatuato, una signora in pelliccia, la quarantenne griffata, la sua coetanea che cammina timida, due africani in scarpe da tennis che camminano e ridono…
Potete giocare a indovinare: chi legge molti libri, chi tradisce il partner, chi è capace di montarsi da solo un mobile, chi mangia vegetariano, chi evade le tasse, chi potrebbe rubarvi il portafoglio…
Il risultato è strano, un mix di intuizioni e pregiudizi: di intelligenza raffinatissima e stupidi schemi mentali precostituiti (che anestetizzano l’intuizione e l’empatia); ma finché è un gioco mentale, tranquilli: nessuno saprà le vostre fantasie, il disagio è solo in chi si sente osservato.

Travestirsi non basta

Si può tentare di governare l’impressione che ciascuno fa agli altri, vestendosi, pettinandosi, parlando in un certo modo. Ciò che svela abbastanza bene se siamo sinceri o se stiamo travestendoci è la coerenza tra queste cose.
Non è solo un problema di coerenza tra la camicia e la cravatta (dettagli che, per chi vuol mostrarsi elegantone, hanno tuttavia una certa importanza) ma anche di coerenza tra cento espressioni meno simulabili: gesti, modi di incrociare lo sguardo, velocità del passo, tono di voce, tensione nella stretta di mano… insomma modi di essere in relazione con gli altri e in equilibrio interno.

La stessa cosa vale per una organizzazione umana: può “vestirsi” con un marchio, delle font, dei colori, un certo stile del sito, un certo slogan… ma c’è una differenza enorme tra il travestimento e la personalità profonda; e se si sta attenti alla coerenza, di solito è facile svelare l’inganno.

Il marketing aiuta le grandi aziende a non rivelare queste incoerenze studiando meticolosamente l’ “immagine coordinata”, ma da quando c’è internet è più difficile.
Finché apparivano solo sulla TV e sulla carta stampata, bastava un gruppo di persone ben pagate con un certo gusto e abbastanza cultura: grafici, marketer, copy… erano in grado di fare all’azienda l’equivalente di chi vi suggerisce quale accostamento è giusto tra camicia e cravatta. Era un lavoro immensamente più complesso (i “vestiti” che un’azienda indossa contemporaneamente sono centinaia e gli osservatori sono decine di milioni) ma sostanzialmente era simile a chi accompagna un daltonico a comprarsi dei vestiti.
Oggi con internet entrano in gioco le relazioni e gli stili di conversazione, che svelano il tono (più o meno sincero) che si legge tra le righe. Certo, tutto si può simulare, ma ora è molto più difficile e occorre cambiare rapidissimamente.
Di solito, più è grande e complessa un’azienda, più sono nevrotici i suoi scambi coll’interno e coll’esterno.
Questo fenomeno potrebbe essere un formidabile vantaggio per l’impresa etica: è come se un bimbo di 5 anni potesse fare una gara con Schumacker su tricicli da bambini. Ma se volete farvi del male, sbagliare identità è un ottimo modo con cui voi, che siete leali e trasparenti, potete apparire sospetti ed ambigui.

Avere un’immagine che non somiglia alla sostanza

Come per una persona, occorre conoscere se stessi. Se la vostra associazione, impresa, ente… ha delle potenzialità, esse formano una personalità simile a quella dell’individuo, ossia la capacità di previsione, il ragionamento davanti a quello che succede, l’esperienza.
Ogni strada è una storia, devi saperla raccontare. Se la tua narrazione è confusa, disordinata o ingolfata, significa che per gli altri sei tu ad essere confusionario, male organizzato e destinato continuamente a inciampare nei dettagli.

Confondere l’identità con la relazione

Non solo chi abusa di finzione e cosmesi confonde l’essere col sembrare; anche chi si presenta sciatto e disordinato perché tanto “l’apparenza non conta”: quella non è apparenza, è sostanza.
Se non siamo coperti di cosmetici, se non ci travestiamo, allora siamo quel che sembriamo.
Il primo contatto tra due mammiferi è di accoglimento o respingimento: è un codice ancestrale che noi umani abbiamo complicato e sofisticato, ma all’inizio di qualsiasi comunicazione c’è “ti accolgo” o “ti respingo”. Puoi essere selvaggio, anticonformista, trasgressivo, ma non puoi mai essere respingente, repellente o infastidito da chi ti cerca.
Se sei un contadino puoi permetterti di lavorare colle unghie sporche; se sei un cameriere, no: le unghie pulite non sono un travestimento, come per te avere un’immagine chiara, coerente e pulita.

Manifestare un’identità contorta

… o complicata, o contradditoria.

Quasi sempre la comunicazione fai-da-te ha questo problema. La percezione dell’identità, da parte di chiunque in quasi tutte le situazioni, segue la logica aristotelica per cui se A = A allora non è possibile che A sia diverso da A.
Ovvio, in realtà (sia come persone che come sistemi di persone) la nostra identità è più complessa, siamo un po’ A e contemporaneamente un po’ non A, perché col tempo cambiamo, perché abitando anche il virtuale possiamo avere molteplici identità psicologiche, perché nell’inconscio di una persona (e anche di un’organizzazione) abitano personalità diverse che emergono a seconda dei ruoli, delle situazioni, delle paure e delle pulsioni.
Nonostante questa densa dimensione complessa, la prima forma di identità percepita dagli altri è quella semplice, ovvia, manifesta; è maledettamente superficiale e si ferma sulla prima impressione.
Siamo tridimensionali, abbiamo uno spessore umano, ma ci guardiamo reciprocamente in modo bidimensionale. Certo, in questo siamo tutti stupidi, banali; è un sacrificio che la nostra mente fa per adeguarsi al bombardamento di segnali: non possiamo essere analitici ed empatici con tutti, soccomberemmo. Quanto più la società è rumorosa e dispersiva, più siamo portati a giudicare dalla prima impressione: se sei un cameriere con le unghie sporche, è un ristorante sporco: A = A, non voglio saper nulla sul perché e sul percome ti si sono sporcate, io qui non ci rimetto piede.
Ora considerate la pulizia del vostro biglietto da visita o della vostra home page come quelle unghie.

Anche lo smarketing parla di immagine coordinata?

Questa è una delle poche “armi del nemico” che il disertore fa bene a mettere nello zaino. Alcuni aspetti leggeri ed efficienti delle tecniche di IC sono molto utili anche per il pesce piccolo, anzi spesso permettono la sua sopravvivenza senza essere mangiato dai pescicani.
L’ossessione del controllo meticoloso non è tra gli aspetti che ci interessano, anzi tendiamo a scoordinarla un po’; quello che conta è la coerenza dello stile.

Ne riparliamo, la incontreremo di nuovo tra le “parole cacciavite”. Qui ci basti dire che l’I.C. (corporate image) è uno dei baluardi del marketing tradizionale proprio perché permette di essere riconosciuti e ricordati.

L’immagine è sempre una rappresentazione

Quanto più distanti tra loro sono identità e immagine, maggiore è la falsificazione, ma attenti: non è vero il viceversa. Se li avvicini non potranno mai coincidere, anche se rappresenti l’azienda più sincera del Pianeta. Il significante non è il significato, la mappa non è il territorio e quindi voi per quanto leali e trasparenti, non sarete mai esattamente la vostra immagine.
Ma cerchiamo che almeno somiglino e che non siano troppo confondibili con altre immagini.