Una divertente caccia all’errore sulla redazione di testi l’ha fatta Umberto Eco su una “bustina di minerva” (quella rubrica sull’ultima pagina dell’Espresso che ha fatto epoca), riedita da Bompiani nel 2000
Si trova abbondantemente sul web googlando “come scrivere bene”.
È un elenco di 40 consigli, ad esempio:
8. Usa meno virgolette possibile: non è “fine”.
14. Solo gli stronzi usano parole volgari.
17. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.
23. C’è davvero bisogno di fare domande retoriche?
Sappiamo già tutti scrivere, insegnaci qualcos’altro di più nuovo! Mi dicono spesso quando presento i corsi ai futuri allievi.
Davvero aver letto libri e scritto temi dalla prima elementare all’Università ha insegnato agli italiani a scrivere? Vediamo.
Corporatese
“La nostra azienda, leader nel campo dei ciripicchi a doppio condensatore, raccoglie la sfida dell’innovazione coniugando la tradizione decennale e la meticolosa ricerca applicata…” neanche la mamma di chi l’ha scritto è capace di arrivare sveglia in fondo alla pagina.
Quante migliaia di alberi vengono abbattuti per stampare milioni di queste frasi illeggibili, di solito su brossure di trenta pagine su patinata lucida da 200 grammi?
Googlate “azienda leader”, leggete qualche sito a caso e decidete se ridere o piangere.
Burocratese
Quando su un bus trovi scritto “obliterare il documento di viaggio” invece di “timbrate il biglietto” significa che quell’Azienda dei Trasporti è classista, razzista e ce l’ha pure coi turisti, coi vecchi e coi bambini. Non sa di esserlo, ma non è una scusante, è un’aggravante.
Davanti a quel testo non sei cittadino neanche se appartieni alla piccolissima percentuale della popolazione che usa il verbo obliterare. Cent’anni fa questo stile serviva a relegare nel senso di inferiorità i ceti illetterati, oggi crea disappartenenza dai beni comuni: ti porta a dimenticare che tu, in quanto cittadino e pagatore di tasse, sei uno dei proprietari di quell’autobus.
Sul burocratese la voce in Wikipedia gioca a sbagliare apposta: Un qualsivoglia enunciato della lingua italiana standard può conferirsi l’attributo caratterizzante di burocratese qualora sia esplicato sottoforma di costrutti obnubilanti e altresì confusi, ovvero forieri di imperfetta comprensione, sia presente un lessico spinto oltre le ragionevoli necessità di trasmissione dei concetti, incorpori elementi sintattico-morfologici contenutisticamente scevri ma nondimeno disagevoli al fine della fluidità comunicativa.
L’amministrazione pubblica da anni sta correggendo il tiro1. Il vero dramma è quando trovate questo linguaggio nel sito di un festival del cinema, di una cooperativa sociale o di una scuola pubblica.
Frasi lunghe
Funzionano poco sulla carta; sul web sono ancora più difficili da leggere. Lo so, tra le virtù d’uno scrittore sufficientemente bravo c’è la sua agilità nel trasportare la mente di chi legge attraverso frasi complesse ed articolate, che somigliano ad un camminare tranquillo in un paesaggio di parole da percorrere riga dopo riga senza eccessi di punteggiatura. Servirebbe un buon lettore (ma siamo tutti sovrastimolati), un buon supporto (il monitor non lo è) e un buon contesto di lettura (pochi di voi leggono queste righe su una poltrona comoda, al silenzio e con tanto tempo a disposizione).
Meglio frasi corte.
Con a capo frequenti.
Così l’occhio si stanca meno.
Ragionamenti senza scaletta condivisibile
Se siete un ciclista bravissimo e dovete spiegare il concetto di bicicletta, parlerete del tipo cambio, della leggerezza in salita, della tenuta in curva di quel tale pneumatico in discesa se piove…
Se non siete un ciclista invece partite dall’essenziale: due ruote, due pedali e un manubrio. Spesso è meglio. Non è facile mettersi nei panni di chi ne sa poco o niente: essere competenti nel proprio campo non significa saperlo divulgare, anzi. Peggio ancora se chi ascolta ha dei pregiudizi, cosa che capita spesso a chi parla di mestieri alternativi. Per un bambino, magari, la cosa più importante di una bici è il campanello che fa drin drin, il ciclista esperto è capace di accorgersene? Questo è un problema di gerarchia delle informazioni, cioè di sequenza e di importanza reciproca tra le cose da dire.
Troppe parole astratte
La tradizione, la competenza, l’efficienza, l’amore per l’ambiente… sarebbero cose molto importanti, ma se le leggete su un’etichetta o su un volantino… sono parole astratte e quindi dicono pochissimo.
Se producete una formaggella di capra davvero genuina, non sta a voi dire “genuinità”. L’astrazione la deve generare il ricevente nella propria testa, basandosi sulle vostre affermazioni concrete e solide: se voi sapete comunicare bene lui, nella propria mente, arriva alla concettualizzazione astratta di “genuinità”. Per aiutarlo in questo processo, usate la genuinità non verbale: carta riciclata, contenitore compatibile, etichetta chiara, canali diretti. E, magari, aiuterebbe parecchio un assaggino concreto.
Dire che il mondo ha bisogno d’amore
Secondo Salvador Dalì, il primo uomo ad aver paragonato la donna ad una rosa fu un genio, il secondo un idiota. Secondo Gérard de Nerval, cent’anni prima, il primo uomo ad aver paragonato la donna ad una rosa fu un genio, il secondo un idiota. Quindi Dalì, che ripeteva una cosa già detta, era un idiota? Non lo so, a me piace paragonare la donna che amo ad un fiore, la metafora calza benissimo e non mi sento affatto idiota, anzi al solo pensiero sento l’amore che mi scalda. Il problema viene quando passiamo dalla comunicazione spontanea a quella progettata.
Un bambino che corre dalla mamma e le dice “sei la mamma più bella del mondo” è spontaneo e tenerissimo; Lo stesso bambino in una pubblicità che dice “sei la mamma più bella del mondo se compri questa merendina” inflaziona le parole come la falsa moneta.
Ad esempio, io sono convinto di questa affermazione:
“Se ci fosse più amore tra gli uomini, il mondo andrebbe meglio e finirebbero tutte le guerre”
Forse sbaglio teoria? no, è una verità profondissima e credo che tutti noi la pensiamo; ma a dirla sembra una stupidaggine, una banalità intollerabile. Infantile, ingenua. Perché?
Non c’è informazione se non c’è un po’ di imprevisto, se in quello che ascolto non c’è un po’ di differenza rispetto a ciò che mi aspetto di udire. Se sento una differenza interessante la mia mente curiosa ha un piccolo cambiamento. L’informazione è una differenza che genera differenza, diceva Bateson2.
Quindi mi spiace, ma appena prendi la penna in mano, sei condannato all’originalità.
Altri errori per scarsa astinenza
Vedendo un gerundio in una frase, riconoscendolo e reputando che non sia uno dei rarissimi casi in cui stia servendo, uccidetelo, sostituendolo con un normalissimo presente.
L’abusare dell’infinito sostantivato equivale al non sapere che si suscita il fumare del cervello altrui.
I punti esclamativi! dio mio! quasi sempre pensate che aumentino la forza e l’enfasi, invece nooo! Non è vero! Di solito la riducono! Specialmente se sono tre o quattro!!!! Quasi? No, sempre! Ah!!!!
Sciami di “virgolette”, volano come “zanzare” ove non “servono”; vanno “abbattuti” con dosi “”generose”” di Flint. Vale anche per i titoli dei giornali di provincia, che ci tengono ad esempio a mettere le virgolette alla “pantera” della polizia, temendo che voi intendiate che i poliziotti se la portino al guinzaglio. C’entra colla fiducia che lo “scrittore” ripone nell’intelligenza del lettore.
Il maiuscoletto significa URLARE. Ogni tanto nella vita capita, anche se di solito è controproducente. Decidere di URLARE è una scelta, siete maggiorenni e liberi, ma per instaurare una relazione, di solito, è la scelta sbagliata.
Tutte le tribù hanno il loro socioletto, anche la vostra: parole e frasi che all’interno del vostro mondo sono pratiche e veloci, ma che all’esterno del vostro sistema sono in marziano. Voi venite considerati competenti e colti se sapete usarle, quindi vi piacciono; ma attenti, la rieducazione del linguaggio riguarda anche voi, chiunque voi siate. Che fatica, ad esempio, spiegare a un militante sociale che la definizione “realtà del territorio che governano dal basso” per l’associazione di immigrate ghanesi sono parole al vento.